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Editoriale
Una cartolina con scritto “Ce l’ho fatta!” arriva un giorno a casa di una insegnante di scuola superiore che vive a Palermo. Siamo nei primi anni Novanta. La cartolina arriva dalla Svizzera, l’ha scritta un ex studente della prof. L’insegnante è la moglie del procuratore Pietro Grasso, magistrato impegnato in prima linea nella lotta alla mafia, e il suo ex studente è il figlio di un esponente di spicco della mafia messo in carcere proprio da Grasso. Stamattina il presidente emerito del Senato, dopo esser stato ricevuto dal sindaco Annamaria Casini in aula consiliare, con una cerimonia semplice ma sentita, ha incontrato circa 150 studenti del Polo Umanistico che hanno partecipato alla “Nave della Legalità”.
“Il futuro dipende dai voi giovani” ha detto con entusiasmo Grasso agli studenti “ma non voglio caricarvi di responsabilità perché noi adulti ne abbiamo tante, ma non dovete farvi prendere dalla rassegnazione. Le situazioni possono cambiare”. E tra i tanti ricordi e racconti, che hanno incontrato la storia contemporanea del nostro Paese come la strage di Capaci in cui morirono il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la scorta, Grasso ha raccontato anche la storia della cartolina scritta dall’ex studente di sua moglie. In quel periodo la moglie insegnava in un paese nella provincia di Palermo “ad alta densità mafiosa” ha tenuto a precisare il magistrato e a poche settimane della maturità due studenti, in cui padri erano in carcere per mafia a Palermo, chiesero un incontro con la prof. Uno dei ragazzi comunicò la sofferta decisione di abbandonare gli studi. “Mio padre è in galera” spiegò “i miei fratelli sono latitanti e io sono l’unico rimasto in famiglia a gestire la situazione”. L’altro studente, invece, chiese perentorio alla prof la possibilità di ritirare personalmente il diploma. “Certo” risponde l’insegnante “sei maggiorenne. Ma perché me lo chiedi?”. “Io non sopporto più questo sistema mafioso” rispose il ragazzo “e voglio abbandonare la mia famiglia”.
Due modi di affrontare un problema e risolverlo. Due decisioni comunque sofferte.
Dopo 6 o 7 anni arriva la cartolina a casa della prof. “C’era scritto “Ce l’ho fatta!” - ha raccontato commosso Grasso “subito dopo il diploma il giovane era scappato di casa, si era trasferito al Nord dove si era mantenuto agli studi lavorando onestamente. Laureatosi in ingegneria fu assunto da una multinazionale Italo-Svizzera”.
Oggi Grasso ha dato una lezione a tutti. Non solo agli studenti. Ha ribadito con forza e gentilezza che nella vita è importante seguire i valori veri, svolgere il proprio dovere. “La Lotta alla criminalità” ha spiegato Grasso “non va delegata solo alle forze di Polizia e ai magistrati, ognuno deve fare il proprio dovere, avere il senso dello Stato e obbedire alla propria coscienza. Falcone e Borsellino e gli altri servitori dello Stato morti mentre svolgevano il proprio dovere non vanno visti come eroi, erano eccezionali per il loro impegno ma vanno considerati modelli da imitate e non eroi. È questa la vera Rivoluzione morale e etica”.
E non è mancato un ricordo ad Antonino Caponnetto il Magistrato che guidò il pool antimafia in cui lavoravano anche Falcone e Borsellino. “Stavo entrando nell’aula bunker del tribunale di Palermo per il maxi processo dove ero giudice a latere” ha concluso Grasso “Caponetto mi si avvicinò, mi accarezzò una guancia e mi disse “fatti forza ragazzo, schiena dritta, Testa alta e segui la voce della coscienza”.-
E poi il lungo applauso degli studenti.
postato il 11/10/2019 alle ore 17:19