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Editoriale
Se l’informazione libera va in fumo
di Chiara Buccini
Il grave episodio avvenuto ai danni del giornalista Claudio Lattanzio non può passare sotto silenzio. Nemmeno il clamore suscitato può spegnersi nel giro di pochi giorni così come, oramai, si “consumano” le notizie ai tempi dei social network.
Il Suv del collega Lattanzio è stato dato alle fiamme verso le 3 di mattina di Ferragosto. E con il trascorrere dei giorni l’ipotesi dell’autocombustione, che pure non è stata tralasciata dagli inquirenti, sta venendo meno. E se dovesse essere confermata l’ipotesi di un attentato incendiario ai danni del professionista sarebbe un attentato ai danni dell’intera società. Perché un attentato ai danni dell’informazione libera.
E chi svolge la professione di giornalista conosce benissimo le difficoltà contro cui si deve lottare ogni giorno nell’esercizio della professione stessa, anche in provincia, anche nella ormai ex “isola felice” della Valle Peligna. Nella maggior parte dei casi facendo finta che tutto vada bene perché, nell’immaginario collettivo, il giornalista è colui che, in certo senso, i problemi li risolve o quanto meno li porta a conoscenza della pubblica opinione.
Chiunque svolga questa professione, almeno una volta nella vita, ha ricevuto intimidazioni più o meno velate, tentate prevaricazioni dal “potente” di turno. E, davvero quasi quotidianamente, insulti. Perché la verità fa male. E fa ancora più male quando la si scrive.
Ma, nella maggior parte dei casi, il giornalista è solo.
Tutto è cominciato con la chiusura delle Redazioni per sacrificare la libertà al profitto. Qualcuno dirà: “I tempi sono cambiati, ora c’è la tecnologia”. Vero. Verissimo. Ma le Redazioni rappresentavano un presidio di libertà, un punto di incontro e confronto non soltanto per Giornalisti e aspiranti tali ma anche un punto di riferimento per tanti cittadini che ritenevano di aver subìto un torto o che volevano denunciare una situazione anomala. Eppure quando sono state chiuse le redazioni dei giornali a Sulmona e, negli anni scorsi ce ne era più d’una, non c’è stata una mobilitazione adeguata alla situazione. Come se la chiusura di una redazione interessasse soltanto chi vi lavorava all’interno. Sappiamo che non è così. Non è così per l’ospedale, non è così per il tribunale e neanche per gli uffici del Genio Civile. Eppure, in occasione della chiusura delle redazioni, qualcuno ha addirittura provato anche un senso di “liberazione”. Quando nel 2008, in città, chiuse la redazione di un quotidiano regionale nel quale chi scrive lavorava, oltre a qualche attestato di solidarietà, c’è stata tanta indifferenza e tanto egoismo. Anzi, c’è chi ha gioito perché la chiusura della redazione di Sulmona si traduceva nel potenziamento di un’altra redazione in provincia di L’Aquila, poi nel 2015 chiusa anche quella. Nessuno, o quasi, ha avuto la lungimiranza di capire che, in questo modo, si sarebbero creati pericolosi precedenti che poi, con gli anni, avrebbero trasformano il territorio in “terra di nessuno”.
Solidarietà e vicinanza al collega Lattanzio, quindi, ma soprattutto, da parte della Redazione di Zac7, un messaggio di forza e sostegno. Perché forse è vero che noi Giornalisti siamo una casta e quando si tocca un Giornalista si tocca una categoria ovvero la libertà di informare. Noi non smetteremo mai di indignarci.
"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare". (Dal sermone del pastore Martin Niemöller)
postato il 18/8/2019 alle ore 22:48