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Cratere: la beffa
Seconda parte
Ci eravamo lasciati nell’inchiesta
dello scorso numero con i rilievi
speditivi fatti subito dopo il terremoto
dalle squadre Quest (gli
esperti della Protezione civile) per
valutare l’inserimento o meno dei
Comuni esclusi dal cratere sismico
nell’elenco di quelli che avrebbero
potuto rientrarci. Una passeggiata
lungo le vie del centro, approssimativa
e rapida, «non ripetibile» secondo
la commissione chiamata ad
ottemperare al giudizio, che aveva
fatto dedurre agli inviati da Bertolaso
che a Sulmona e nella Valle
Peligna il terremoto si era fermato
al quinto grado. Negli appunti
presi sui “quaderni di campagna”
dei Quest, una serie di valutazioni
approssimative su una parte molto
limitata del territorio (e non lungo
tutte le strade percorribili, come la
procedura richiedeva), con passaggi
a tratti comici secondo cui
era «stata notata una condizione di
normalità nello svolgimento delle
attività quotidiane: negozi aperti,
uffici pubblici aperti, assenza di
particolare preoccupazione». All’approssimazione
dei Quest, però,
deve essere aggiunta la superficialità
politica e amministrativa con
cui sembra essere stata gestita la
vicenda, almeno a Sulmona. Il 22
aprile del 2009, infatti, con una sollecitazione
scritta inviata ai sindaci
e regolarmente protocollata al Coc,
Guido Bertolaso avvertiva che «al
fine di consentire l’aggiornamento
dell’elenco dei Comuni interessati
agli eventi sismici si procederà alle
ulteriori rilevazioni macrosismiche.
A tal fine – chiedeva l’ex numero
uno della Protezione civile – si invitano
i predetti sindaci a segnalare,
entro e non oltre il 27 aprile,
l’opportunità di compiere una rilevazione
nel territorio comunale,
segnalando le situazioni di danneggiamento
più gravi, con specifica
indicazione di località, indirizzo o
nome degli edifici danneggiati.
Nell’occasione – concludeva – si
dovrà altresì fornire il nominativo,
e relativo recapito telefonico, di un
referente per l’effettuazione della
suddetta rilevazione». Dell’elenco e
della comunicazione in questione,
però, a Sulmona nessuno sembra
saperne niente o meglio l’assessore
Enea Di Ianni ricorda di aver mandato
una dettagliata lista degli edifici
pubblici, di cui tuttavia non si ha
riscontro tra le carte dell’ufficio sisma,
dove l’unico elenco del genere
(in verità schede corredate da dati
catastali, più che indicazioni generiche
da sottoporre al Quest) è quello
indirizzato alla Regione e all’assicurazione.
L’allora responsabile, l’ex
dirigente Pietro Tontodonato, non
ricorda d’altronde alcuna comunicazione
in merito: «Se è arrivata
non è passata sul mio tavolo – spiega
– e certo avrei dovuto saperlo,
anche se della sollecitazione
si fosse fatto carico l’assessore
competente». Qualcuno, ci
auguriamo, prima o poi riesca
a spiegare questa madornale
omissione, se di omissione si
è trattato. O a fornire la lista
in questione, così giusto per
verificare se le squadre Quest
abbiano svolto il loro compito
fino in fondo. Un rilievo “guidato”,
dopo tutto, avrebbe forse
permesso a Sulmona di entrare
subito nel cratere, posto che, a
guardare i numeri, checché ne
dica la commissione nominata
dal prefetto, dovrebbe avere di
diritto, così come Raiano, l’altro
dei Comuni ufficialmente esclusi.
Sì perché i conti anche con le
schede Aedes (il lavoro aggiuntivo
fatto dalla commissione prefettizia)
non tornano o meglio non
giustificano questo pesante “no”.
I dati raccolti dalla commissione,
infatti, sono parziali (relativi alle
sole schede consegnate entro il 10
marzo 2010) e frutto di una lettura
discutibile che esclude dai calcoli gli
edifici con danni preesistenti, come
se il sisma non avesse comportato
anche su questi l’inagibilità. Il calcolo
è stato effettuato secondo il
cosiddetto metodo Molin che divide
i danni i cinque livelli (leggeri,
moderati, gravi, distruzioni, crolli)
e li mette in rapporto percentuale
con il patrimonio abitativo esistente.
Se il 50% del patrimonio ha subito
danni di 1° livello o il 25% di
2° livello (equiparabili ad agibilità
di tipo A) o se ancora il 5% ha subito
danni di 3° livello (schede di tipo
B, C ed E), allora si è di diritto nel
sesto grado della scala Mercalli e
quindi nel cratere. Conti alla mano
(aggiornati ad oggi), a Sulmona su
un patrimonio abitativo di 4.223
edifici, le schede di tipo A sono state
1.445, le B 306, le C 61 e le E
113. In tutto 1.925 schede (anche
se dal calcolo potrebbero mancarne
altre 500 eseguite dai tecnici
comunali il giorno del sisma, ma
non ritenute ufficiali dal Quest) che
in rapporto al patrimonio abitativo
sono pari al 45,5% (oltre il 25% di
2° livello, appena sotto il 50% di 1°
livello, ma in cui potrebbero rientrare
anche danni non censiti). Percentuale
che diventa palesemente
sufficiente (basta il 5%) se si considerano
i danni di 3° livello: 480 (B,
C, E) che equivalgono all’11,3% del
patrimonio abitativo (tanto più che il
nesso di diretta causalità a Sulmona
è del 99% secondo l’ufficio sisma).
La commissione ha preso però in
considerazione solo 1.797 schede,
con percentuali di danni che al momento
non è dato sapere, mancando
dal provvedimento del Tar Lazio
estratto dal Comune, le due pagine
relative al rapporto Molin. Pagine
presenti nel provvedimento di Raiano
dove su un patrimonio abitativo
di 1.692 edifici, la commissione ha
analizzato 563 schede, riconoscendone
87 di 3° livello, ma solo 33 per
danni di causalità. In verità così non
è: ad oggi si contano 396 schede
Aedes di tipo A, 59 B, 21 C (a cui
vanno aggiunte un’altra decina fatte
da perizie giurate) e 68 E (anche qui
10 in più fatte da privati). Nel 3° livello,
insomma, a Raiano rientrano
168 edifici che equivalgono al 9%
del patrimonio abitativo, mentre tra
il 1° e il 2° livello la percentuale è
del 33,3% (più del 25% e meno del
50%). I conti, insomma, non tornano
e non è peregrino pretendere che
vengano rifatti.
postato il 27/10/2012