CULTURA

16769Sulmona

L’Abruzzo con Giorgio Manganelli

Pino Coscetta ricorda le giornate abruzzesi con lo scrittore, nel suo libro-diario presentato a Sulmona


di anna spinosa
SULMONA. “L’aria, in Abruzzo, ha un sapore diverso. Nutrita di rupi e sassi, di radure e boschi, di laghi ruscelli, torrenti e fiumi, l’aria ha uno scatto, un’elasticità di muscoli, una pungente tagliente acredine che sa di spazi nordici di scoscese dimore montane…” Questo è l’Abruzzo mitico e autentico di Giorgio Manganelli, intellettuale del ‘900, personalità straordinariamente ironica e controversa. Il rapporto tra lo scrittore milanese e l’Abruzzo è ripercorso, in maniera sapiente e divertita da Pino Coscetta nel libro “Viaggio in Abruzzo con Giorgio Manganelli”, presentato sabato scorso all’Agenzia di promozione culturale di Sulmona. Fu proprio Coscetta, ai tempi giornalista del Messaggero, ad accompagnare il noto letterato, già visitatore in gioventù, in un tour abruzzese durato tre mesi datato 1987. La presentazione del libro è stata accompagnata da alcune fotografie scattate dal “Manga”(così affettuosamente chiamato), foto volutamente non artistiche ma d’impatto, che conferiscono un’immagine di immediatezza concettuale. Pino Coscetta racconta che proprio in uno di questi soggiorni abruzzesi l’occhio attento dello scrittore si soffermò su territori a noi cari, in un percorso che lo condusse da Cocullo a Sulmona. L’incipit fu la festa del patrono a Cocullo in cui ”giovani robusti esibivano serpi al collo”, «in questo tratto di strada – racconta sarcastico l’autore – Manganelli, notoriamente poco incline al movimento, patì le frequenti salite e le basse temperature, seppur fosse maggio, e appellò più volte il suo mitico Abruzzo, “fabbrica del freddo”». Scanno, la definì “una città dalla fisionomia antica”, con donne “dal costume che dà sul nero con qualcosa di spagnolesco”, ne apprezzò in oltre il nobile artigianato, le presentose, il tombolo. Poi alla volta di Pacentro, descritto come “un ambiente sapientemente medievale all’ombra del castello Caldora”. Qui da buon amante della tavola apprezzò il cibo corposo “squisitamente pastorale e insieme arcadico” ma anche“colto e metafisico”. L’arrivo a Sulmona, «finalmente città in pianura», che definì “strana e accattivante, dalla grazia cordiale e meridionale…”. Subì il fascino del palazzo dell’Annunziata dai “portali di gotico fiorito”e la portafinemente incorniciata di San Francesco della Scarpa. Ne seguì una breve sosta a Piazza XX Settembre, per un saluto ossequioso ad Ovidio “presenza elegante di occulta tragicità”. Qui racconta Coscetta «il Manga approfittò per fare mambassa di cartoline e andò spedito nella libreria Di Cioccio intrattenendosi in una chiacchierata con il titolare, come due vecchi conversatori». Per gli uditori in sala non sono mancati poi piccoli aneddoti riproposti dallo storico direttore del Messaggero Vittorio Emiliani, da Giorgio D’Orazio curatore dell’evento e dallo stesso Pino Coscetta che hanno offerto un Manganelli privato, giornalista acuto, dagli amori tormentati (uno per tutti con la poetessa Alda Merini), le sue scaramucce con Carlo Emilio Gadda ed ecco che sembra quasi di averli lì, in un teatro di vite di grande levatura. Manganelli solito ad usare la prosa riserva per l’Abruzzo la parola poetica, un’ insolita mitezza. La figlia Lietta, dà ulteriore conferma nel libro, quasi di un’identificazione con questa terra schiva e solitaria come lui, che spesso chiamava “il mio Abruzzo”.Il desiderio incompiuto di ritornarvi. L’immagine finale che ci consegna questo viaggio di Giorgio Manganelli è quella di “Abruzzo grande produttore di silenzio più incisivo di mille parole, regione mitica, intrisa di storia, cultura e grandi uomini, luogo dell’altrove, terra da preservare”.


postato il 1/11/2014

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