RUBRICA

29069Sulmona

“L’arte della quarantena”, la bellezza per resistere: “Allegoria della pittura” niente al caso



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Oggi siamo ospiti discreti dell'atelier di Jan Vermeer, grande protagonista dell'arte del Seicento europeo e maestro specializzato nella pittura d'interni, che è il filo conduttore della nostra rubrica. Attraverso una pesante tenda di preziosa foggia, ricamata d'oro e d'azzurro, che è stata scostata per noi, osserviamo un pittore seduto al cavalletto intento a eseguire un ritratto allegorico. L'olandese Vermeer si dedicò alle composizioni semplici, con figure ritratte all'interno di una tipica casa olandese "inquadrata" da un eccellente uso della prospettiva. Particolare cura era dedicata alla rappresentazione dei tessuti, dei colori e delle forme, riuscendo con mirabile dimestichezza tecnica a rendere palpabili, tattili, i materiali più svariati: porcellana, vetro, legno, stoffa e così via. Questa sua capacità mimetica lo fece eccellere anche nella natura morta, e infatti una delle novità apportate dal suo stile, è proprio quella di aver contestualizzato brani di natura morta all'interno di graziose scene di genere pregne di intima, normale quotidianità domestica.
Come una specie di quadro nel quadro. Queste caratteristiche si riscontrano anche nel dipinto presentato, la "Allegoria della pittura" databile al 1665-1666. La tela, intitolata anche "Il pittore e la sua musa" o "L'atelier", è giocata sull'unione tra il contenuto tematico e l'equilibrio formale, in cui ogni elemento ha la sua ragion d'essere nella collocazione che gli è stata assegnata e nella luce che, irrompendo da una finestra che non vediamo, dà consistenza e verità alle cose. Nulla è lasciato al caso. Il dipinto supera i rigidi limiti delle classificazioni, perché è sì pittura di genere ma anche scena allegorica con un doppio significato: il pittore (forse lo stesso Vermeer) sta dipingendo una allegoria ma, allo stesso tempo, essendo cólto nell'atto di dipingere, è egli stesso incarnazione dell'allegoria stessa.
La modella tiene in mano un libro, simbolo della Storia, e una tromba, simbolo della Gloria; in testa ha una corona di alloro: è la musa Clio. Non vediamo il volto del pittore, che è seduto di spalle e vestito con abiti che offrono un abile gioco di toni chiari e scuri: scegliendo l'anonimato, l'artista si mette nello stesso punto di vista dell'osservatore. Sulla sinistra si vedono una sedia posizionata abilmente di scorcio, un baule borchiato e un tavolo su cui ci sono dei drappi, fogli e altri oggetti (incluso il calco del volto di una statua classicheggiante) che creano, appunto, una natura morta ma che sono anche simbolo delle Arti Liberali, che sin dal Medioevo definivano le attività intellettuali contrapposte alle "arti meccaniche" che, invece, richiedevano lo sforzo fisico. Alla parete di fondo è appesa una grande cartina geografica delle Diciassette Province dei Paesi Bassi prima della suddivisione avvenuta nel 1581.
Appartenuta realmente a Vermeer, la cartina, che reca la firma del pittore, ha uno straordinario effetto tridimensionale dato dalla luce radente che ne evidenzia le screpolature e difformità. La pittura olandese, e soprattutto quella di Vermeer, è erede di quella fiamminga del XV e XVI secolo e di artisti quali Jan van Eyck: non a caso, il lampadario presente nel quadro di Vermeer è molto simile a quello che si vede nel celebre "Ritratto dei coniugi Arnolfini" di van Eyck. Lo sguardo scrutatore e quasi voyeuristico che si apre su questi poetici interni olandesi sarà ripreso anche dalla pittura moderna - pensiamo, ad esempio, alle donne che si pettinano o lavano dipinte da Degas, osservate e quasi spiate dal buco della serratura. Chiudiamo con una curiosità legata a questa "Allegoria": citata, forse, in un'asta del 1696, scomparve dal mercato dell'arte fino al XIX secolo. Nel 1938 entrò a far parte della collezione personale di Adolf Hitler e nel 1946, a guerra finita, passò al Kunsthistorisches Museum dove si trova tuttora.

Danilo Borri


postato il 5/4/2020 alle ore 13:51

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